“Saccë na còsa cusèlla,

iè ffinë e tanda bbèlla…”, so una cosa cusella, che è fine e molto bella: è l’introduzione di ogni indovinello agromontese, indovinelli che vanno oltre il significato apparente delle parole.

Andai all’orto (JËVË(G)Ë A L’UÓRTË) e trovai un asino morto (TRUVAI(G)Ë NU CIUCCË MUÓRTË), andai (JËVË(G)Ë) per

toccarlo e si mise a scalciare (SË MISË A CCAVUCIẼ).

L’indovinello richiama una delle immagini tradizionalmente associate alle genti contadine, l’orto. Solitamente alle bordure, nelle zone incolte, crescevano le ortiche. È chiaro il riferimento al manto irsuto dell’asino che ricorda i peli urticanti della pianta. La seconda parte dell’indovinello utilizza, invece, una metafora che associa lo scalciare dell’asino alla sensazione di prurito immediato dopo aver toccato l’ortica.